Lettore medio

Enti di ragione (Marta Cai)

9788894848298_0_0_422_75Avevo diciassette anni. Benché tenessi la finestra della mia camera sempre aperta, mi trovavo immerso in un puzzo di macchina vecchia e di salsedine. Vivevo perlopiù sul pavimento, all’interno di rettangoli di spazio che ricavavo ammucchiando vestiti sporchi e fogli di carta da cucina appallottolati.

Un libro tecnicamente interessante supportato da un linguaggio mai stucchevole.
Credo sia questo il modo migliore per recensire “Enti di ragione” di Marta Cai (edito da SuiGeneris).
Una raccolta di racconti collegati tra loro da personaggi, situazioni ed espedienti narrativi mai banali. Una lettura che scorre piacevolmente grazie a una cura del linguaggio che considero uno dei punti di forza di questo libro.
I personaggi vengono descritti attraverso le proprie fobie, le insicurezze, ma soprattutto nel rapporto quotidiano con gli altri. Piccoli e grandi drammi familiari ed esistenziali finiscono sotto la lente d’ingrandimento di Marta Cai, che rispolvera, talvolta, la figura del narratore onnisciente adattandola alla contemporaneità della letteratura italiana.
Non aggiungo altro, lasciando la parola all’autrice.

Enti di ragione. Come è nato questo libro? Da un insieme disordinato di storie abbozzate e che, di fatto, giravano tutte intorno a uno stesso nucleo: la radicale impossibilità di stare da soli, di sapere fino a che punto si può affermare di essere in relazione con un altro e la comicità di tutti i meccanismi che mettiamo in atto per sopravvivere a questa disperata impasse.È qualcosa che non mi dà pace, soprattutto perché non smette di stupirmi e quindi di divertirmi. Siamo “enti di ragione” che sragionano pur di uscire da se stessi, di interpretare il mondo, di abitarlo. Ho provato a mettere in scena questo lavorio, questo gran dispiego di illusioni e di ipotesi, di rari momenti di lucidità e la valanga di effetti che generano, reali o percepiti.
Cominciamo dalla struttura: una raccolta di racconti autoconclusivi, legati l’uno all’altro da un personaggio, una situazione, una traccia disseminata nell’arco narrativo. Da cosa nasce l’esigenza di raccontare queste storie in questo modo? Ho scelto questa struttura per motivi contingenti e per altri sostanziali. Per quanto riguarda i primi, mi trovo più a mio agio con la forma racconto; è una questione di andatura, mi piace sperimentare ritmi diversi nel giro di poche frasi o di poche pagine, pensare a ogni racconto come al brano di un ipotetico album.
Preferisco avere a che fare con storie piccole ma malleabili, elastiche, che possa dilatare su piani temporali e stilistici, giocando con i registri e i dettagli. I motivi sostanziali sono legati al tema che fa da sfondo ai racconti: se le relazioni sono qualcosa che oltrepassa l’individuo, ma che per sussistere devono necessariamente essere pensate, desiderate, cercate, evitate, inventate, interpretate, allora un racconto è sufficiente a mettere in scena il punto di vista di un personaggio, ma poi questo straborda, si insinua nella prospettiva di un altro come ricordo, effetto, stimolo; per continuare a far dire a Leibniz quello che voglio io (dopo aver tratto il titolo da una sua citazione): ogni racconto è una monade, la monade non ha finestre, ma riflette/deforma/adegua a sé tutte le altre.
Passiamo ai personaggi: caratteristiche fisiche, pensieri, vissuto. Dettagli che arricchiscono ognuno dei protagonisti o delle comparse di ogni storia. Quanto è stato faticoso/gratificante il lavoro su ogni singola “forma vuota”? Sicuramente è stato divertente: io scrivo perché mi piace. È difficile, mi impegno, mi vengono il mal di testa da cervicale, le occhiaie e le rughe, ma mi diverto, altrimenti farei altro. Non so se ho avuto a che fare con forme veramente vuote: ogni personaggio ne ha generato un altro, ogni personaggio fa, dice e pensa ciò che io ho visto fare, dire e pensare da me o da altri in determinate situazioni: ho mescolato, dato la stura a soluzioni immaginarie di problemi reali, estremizzato, ridicolizzato, omaggiato le umane debolezze.
Uno dei punti di forza del libro è, a mio parere, il linguaggio. Ricercato, ma mai stucchevole. Come uno speziale hai prestato attenzione a ogni singolo termine. Quali sono stati gli autori, le correnti narrative e le esperienze (di scrittura e di lettura) che maggiormente hanno caratterizzato e caratterizzano il tuo modo di raccontare? Sono una lettrice pasticciona e disordinata, non saprei isolare un nucleo di autori o una corrente che mi abbia particolarmente segnato: posso indicare Bukowski come mio primo amore assoluto e totale, scoperto prima come poeta e poi come autore di racconti e romanzi. Certo, a colpire la me stessa di allora sono state le storiacce brutte, sporche e cattive, ma soprattutto la sua (auto)ironia senza sconti. Da lì in avanti, ho collezionato i miei mostri più o meno sacri e da ciascuno avrò imparato qualcosa. È un lunghissimo elenco, molto eterogeneo, accomunato dal tratto della “scorrettezza”. Posso leggere qualsiasi cosa, scritta in qualsiasi modo, basta che non senta il manierismo, l’appiattimento sul “buon gusto”, l’applicazione delle solite quattro regolette spacciate come auree, la scure degli editing normalizzatori, il cinismo sciatto, ammiccante, banale, il piagnisteo. Per quanto riguarda il linguaggio, cerco di sfruttare meglio che posso le sue potenzialità: prima di tutto il ritmo, perché anche in silenzio leggiamo con le orecchie, e poi c’è quel grande paese dei balocchi che è la varietà dei registri, l’oralità, i giochi di parole, le descrizioni immaginifiche; è un peccato non andarci, a costo di trovarsi somari.
La fragilità dei personaggi è messa a nudo, molto spesso, attraverso il corpo. Un veicolo comunicativo fondamentale tanto nei rapporti umani quanto nella letteratura, oppure un espediente narrativo assai funzionale? Direi entrambe le cose, anche perché è un po’ difficile, a meno di non essere dualisti sfrenati, pensare in modo immateriale, esistere senza corpo; noi non abbiamo un corpo, lo siamo, da qui non si scappa. I poveri cristi che trovate in “Enti di ragione”, poi, comunicano a fatica, sono soli, hanno paura di esprimersi, sanno quanto vuote o violente possano essere la parola sociale e quella dell’affetto.
Quanto è difficile raccontare i sentimenti altrui senza, irrimediabilmente, condividere le proprie emozioni personali? Non è un caso che i racconti con i protagonisti maschili li abbia scritti in prima persona, mentre quelli con al centro un personaggio femminile in terza. Volevo mettere un po’ di distanza, anche percepita. Quando scrivo, sono la qui assente Marta Cai.
Quali sono stati, finora, i feedback dei lettori? I più disparati. Qualcuno ha riso, qualcuno ha pianto, qualcuno mi ha definito pessimista, un altro realista, un altro ancora mi ha consigliato di prendere la vita con leggerezza e di scrivere più semplice. Hanno tutti ragione.
Che cosa ti aspetti da questo libro? Che non sia l’ultimo!

Titolo: Enti di ragione
Autrice: Marta Cai
Casa editrice: SuiGeneris
Genere: Raccolta di racconti
Pagine: 251
Anno di pubblicazione: 2019
Prezzo: € 15,00
Tempo medio di lettura: 4 giorni
Letture consigliate: “I quarantanove racconti” di Ernest Hemingway; “Olive Kitteridge” di Elisabeth Strout.

L’autrice
Marta Cai è nata in provincia di Asti nel 1980 e abita in provincia di Cuneo. Collabora con diversi editori come traduttrice e redattrice di saggistica.
Alcuni dei suoi racconti sono stati pubblicati E registrati come podcast dalla rivista letteraria “inutile”.Passa le sue giornate a tradurre e correggere quello che scrivono gli altri. Incredibile a dirsi, non è ancora morta di noia.

Paquito

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