“Corpo nudo, gambe aperte, coltello nella schiena” pensò. “Peperoncino sul sedere. Genitali immersi nell’olio e nell’aglio. Un bel rompicapo. Come prima indagine su un omicidio a Napoli, non poteva capitarmi di meglio. Aglio, olio e peperoncino. Anzi no. Aglio, olio e assassino” .
Commedia sì, ma col morto. Pino Imperatore ritorna alla ribalta grazie al suo ultimo romanzo “Aglio, olio e assassino” (edito da DeA Planeta) e si mette alla prova con una detective story nel quale è fortissimo il registro comico.
L’ispettore Gianni Scapece indaga su un delitto consumatosi tra le mura di un appartamento attraverso un macabro rituale: le pudenda del cadavere calate in una padella piena d’olio con tanto di spicchio d’aglio e peperoncino a decorare quel che resta di un giovane uomo. A sostenerlo – nelle indagini ma soprattutto dal punto di vista gastronomico – la famiglia Vitiello, titolare della trattoria Parthenope. Il decano degli chef Francesco, il suo mastodontico figlio Peppe – non a caso soprannominato Braciola – e la restante parte del personale si troveranno coinvolti, gioco forza, in quest’indagine di Polizia.
Quel che ho apprezzato di Pino Imperatore è la capacità di affrontare argomenti molto delicati – in questo caso un omicidio e la conseguente indagine – con grandissima leggerezza. Inoltre, l’autore regala al lettore una vera e propria insolita guida della città, Napoli, raccontata attraverso aneddoti che la rendono ancor più affascinante agli occhi di chi conosce questa città. Dulcis in fundo, ho trovato perfetto l’equilibrio tra la commedia e la detective story. Non aggiungo altro e lascio che a parlare sia Pino Imperatore, felicissimo di raccontarsi ai lettori medi…
“Aglio, olio e assassino”. Come è nato questo romanzo? In seguito a un’arrabbiatura. Una sera alcuni miei conoscenti mi trascinarono, contro il mio volere, a mangiare il sushi in un ristorante giapponese situato proprio accanto a una trattoria tipica partenopea. Con tutto il rispetto per il sushi e per il Giappone, fu una crudele provocazione. Terminata la penosa serata, uscimmo dal locale proprio nel momento in cui dalla trattoria a fianco sbucava un cameriere carico di piatti di linguine con aglio, olio e peperoncino. Si scatenarono in me istinti omicidi. Le prime vittime furono i miei conoscenti: quella sera stessa li disconobbi. Poi nacque l’idea del libro.
Napoli non è soltanto il set di questa storia. È un genere letterario, un posto che offre continuamente spunti per qualsiasi tipo di narrazione. Che rapporto hai con questa città? Simbiotico. Io sono Napoli, e Napoli è me e dentro di me.
All’interno del romanzo vi è una vera e propria “insolita guida” della città di Napoli. Opere d’arte, luoghi, ma soprattutto leggende e aneddoti a essi collegati. Qualcuno t’ha fatto da Cicerone in questi posti oppure ti sei documentato da solo? Ho fatto tutto da solo. Ma Napoli mi ha portato per mano.
E adesso parliamo del tuo rapporto col cibo. Sei bravo quanto i Vitiello tra i fornelli oppure corri il rischio di rimanere a digiuno se non c’è uno chef nei paraggi? Diciamo che riesco a sopravvivere. Il pane lo so affettare.
L’ispettore Gianni Scapece – un poliziotto dotato di sangue freddo, intuito e una buona dose di testardaggine – ha tutte le carte in regola per diventare un personaggio seriale. Ti spaventa questa prospettiva oppure ti affascina l’idea di un ciclo di romanzi a lui dedicato? Su questa cosa ho avuto un tête-à-tête proprio con Scapece. Lui mi ha proposto: “Ho altri casi da risolvere; ti va di raccontarli?”. Io gli ho risposto: “Va bene, a condizione che mi porti con te ogni volta che vai a mangiare nella trattoria Parthenope”. Lui ha accettato. Quindi la prospettiva si fa molto interessante.
Con la saga della famiglia Esposito sei riuscito a parlare di un argomento delicato come la camorra con grande leggerezza e hai fatto altrettanto affrontando il tema del terrorismo in “Allah, san Gennaro e i tre kamikaze”. Stavolta, invece, strappi più di un sorriso durante una delicata indagine. A quanto pare una risata non solo ci seppellirà (Bakunin ci permetta la citazione) ma ci aiuterà a vedere il lato positivo di qualsiasi cosa? Sì. E non solo. Ci aiuterà anche a sconfiggere il male.
Per anni hai diretto il laboratorio di scrittura comica e umoristica “Achille Campanile” fornendo a decine di aspiranti scrittori il know how di questa professione. Quanto è importante per te la formazione? È indispensabile. Il talento senza la tecnica – e senza massicce dosi di lettura – non va da nessuna parte. E viceversa.
Domanda marzulliana: se siamo quello che leggiamo e se uno scrittore lascia un po’ di sé in ognuno dei personaggi che descrive, cosa c’è di tuo in Peppe e Francesco Vitiello, nell’ispettore Scapece e nel cane Zorro? Risposta marzulliana: “La vita dei miei personaggi è un sogno e i sogni mi aiutano a viverli meglio”.
Come vivi il rapporto con i tuoi lettori? Fanno parte della mia esistenza, del mio vissuto quotidiano. Li considero degli amici in viaggio con me nelle galassie della risata.
Come vivi il rapporto con i social network? Con grande spasso. Mi diverto a frequentarli e li utilizzo per entrare in contatto con gente positiva, che ama colorare il tempo di autenticità e gioia. Come ho scritto di recente sul mio profilo Facebook, ho la sensazione che gli italiani si stiano intristendo. Che abbiano il buonumore in caduta libera. Una volta eravamo il Paese dell’allegria, del buon vivere, della spensieratezza, della commedia, dello spirito sagace. Oggi vedo in giro tante persone sempre più ingrugnite, sospettose, incattivite. Ridere – una delle cose più belle che possa fare un essere umano – viene considerato da molti un atto superfluo, irriguardoso, addirittura sconveniente. Capisco i problemi e le difficoltà, ma che brutta situazione. Ma io non desisto. Finché ne avrò le energie, continuerò a diffondere sorrisi. I musoni si rassegnino: dovranno ancora sopportarmi a lungo.
Infine, saluta i lettori medi: Vivete in allegria e regalate momenti di lietezza a voi stessi e a chi ne ha bisogno. Fate in modo che i sorrisi accompagnino ogni istante delle vostre vite.
Titolo: Aglio, olio e assassino
Autore: Pino Imperatore
Genere: Poliziesco umoristico
Casa editrice: DeA Planeta Libri
Pagine: 368
Anno edizione: 2018
Prezzo: 15,00 €
Tempo medio di lettura: 4 giorni
Da leggere: A tavola gustando, tra una pagina e l’altra, un antipasto, poi un primo, poi un secondo leggero e così via, fino all’ammazzacaffè (tranquilli, è solo un modo di dire!)
L’autore:
Nato a Milano da genitori emigranti napoletani, Pino Imperatore vive ad Aversa (CE) e lavora a Napoli. Nel 2001 ha ideato e fondato il Laboratorio di scrittura comica e umoristica “Achille Campanile”. Dal 2005 è responsabile della sezione Scrittura Comica del Premio “Massimo Troisi”. Il suo romanzo “Bentornati in casa Esposito. Un nuovo anno tragicomico” (Giunti 2012) ha riscosso il favore del pubblico ed è stato premiato con numerosi riconoscimenti. A questo libro si aggiungono “Benvenuti in casa Esposito. Le avventure tragicomiche di una famiglia camorrista” (Giunti 2012), “Questa scuola non è un albergo” (Giunti 2015), “Allah, san Gennaro e i tre kamikaze” (Mondadori, 2017).
Paquito